15 Gennaio 2019 By Cristiana Zamboni

Artemisia: un’odissea al femminile

Gli artisti di Cristiana Zamboni. Artemisia Gentileschi, la regina audace e pugnace della storia dell’arte femminile. Un’omaggio che davvero merita. Fosse anche solo per il nome che porta: Artemisia o Arte e Misia Gentileschi.

Di Cristiana Zamboni

Santa Maria Maddalena in estasi
Artemisia Gentileschi
1623

Se Omero fosse uno scrittore contemporaneo narrerebbe la sua seconda Odissea dedicandola ad una donna. Del resto anche un uomo del passato come lui, agilmente comprende che per esser definito un letterato politically correct di successo al giorno d‘oggi, deve avere delle quote rosa nella sua bibliografia. Omero racconterebbe di lei, la regina audace e pugnace della storia dell’arte femminile. Rendendole l’omaggio che merita. Fosse anche solo per il nome che porta: Artemisia o Arte e Misia Gentileschi.

“… e avrò la mia vendetta, in questa vita o nell’altra.”  Massimo Decimo Meridio

Il nome Misia si riferisce all’antica regione dell’Anatolia, dove sorgeva Troia, cantata da Omero nell’Iliade. E‘ un nome adespota che indica colui o colei che è senza padroni e senza santi. Ma Artemisia deriva anche da Artemis ed Artemide, Dea della caccia e della luna. Chissà se suo padre, Orazio Gentileschi, fu consapevole del peso di quel nome quando decise di chiamarla così. A sua dispensa, si può dire che Artemisia prese il nome dalla sua madrina, Artemisia Capizzutti, un’aristocratica signora romana.

La conversione della Maddalena
Artemisia Gentileschi 1615-1616

“Il piacere del dipingere sta esattamente nella sensazione dolorosa di sapere che non sta venendo bene. Così provi qualcos’altro e provi e riprovi, finchè ti riesce proprio come vuoi tu. Magari non è perfetta, ma è molto meglio di quando hai cominciato e, quando accade, è una delle sensazioni più esaltanti che esistano, perchè te la sei guadagnata.”  Artemisia Gentileschi

Nel percorso creativo di ogni artista ritroviamo una nota autobiografica, ma le opere di Artemisia vanno ben oltre. Raccontano la violenza in modo estremamente reale e plurale nel suo saperla rappresentare nella duplice percezione di vittima e carnefice. L’artista ha un’implacabile perizia nell’immedesimarsi in entrambe attraverso le immagini, diventando allegoria simbolica della sua stessa vita.

Si avvale della sua tragedia personale per rivelare, rivelarsi e vendicarsi. Pubblicamente, sotto gli occhi attenti di chi osserva le sue opere. La rabbia, la paura e la vergogna si trasformano in forza e coraggio. Rivive quei momenti per creare opere in cui, attraverso un linguaggio semplice ed universale, il male e la sofferenza sgorgano dagli sguardi espressivi dei suoi protagonisti.

Giuditta e Oloferne Artemisia Gentileschi
1620

Artemisia Gentileschi nasce a Roma l‘ 8 luglio del 1593. Unica figlia femmina del pittore Orazio Gentileschi e l’unica dei suoi figli che, fin dalla tenera età, mostra interesse e talento per la pittura. A soli dodici anni perde la madre e si divide tra i fratelli, la casa ed il padre che decide di tenerla in bottega per preparare le tele e miscelare i colori. Vivendo al massimo l’arte paterna e studiando le opere dei grandi pittori, Artemisia inizia a disegnare. Impara molto in fretta ed intorno ai sedici anni dipinge le sue prime Madonne col Bambino.

Madonna col Bambino
Artemisia Gentileschi
1609-1610

Molto si è romanzato sulla giovane e promettente artista che si lamentava di non poter ritrarre gli uomini nudi perchè un Papa decise di protegger l’integrità degli occhi femminili che non potevano far arte. Una ragazza che di nascosto rubava i ceri in chiesa, dopo i vespri, per poter osservare il proprio corpo in segreto, davanti ad uno specchio.  Artemisia usò se stessa per studiare l’anatomia e sperimentare l’arte, non curante dell’opinione altrui.

Fu la prima a perfezionare la tecnica dei tre specchi per ritrarsi in una visione completa e realista. Di certo, sulla vita di Artemisia, ci rimangono le parole di Longhi e gli atti del processo che la vide vittima di un gioco di orgoglio e supremazia maschile.

Annunciazione
Orazio Gentileschi
1623

Nel 1610 Orazio Gentileschi lavora agli affreschi di Palazzo Pallavicini Rospigliosi , nella loggia di Montecavallo nella sala del Casino delle Muse, insieme al collega ed amico Agostino Tassi, detto lo Smargiasso. Un uomo alquanto iroso, già stato in prigione per atti violenti. Il suo compito era di creare delle rappresentazioni scenografiche architettoniche su cui, in un secondo tempo, il Gentileschi avrebbe dipinto le sue figure. Fra questi affreschi vi è una donna con un ventaglio in cui, alcuni storici dell’arte, affermano vi sia ritratta Artemisia.

Susanna e i Vecchioni
Artemisia Gentileschi
1610

Artemisia, a soli diciassette anni, è già un talento nella pittura. Capace e promettente il suo nome risuona nel mondo dell’arte per la sua bellissima opera Susanna e i Vecchioni del 1610.

“Questa femina, come è piaciuto a Dio, havendola drizzata nelle professione della pittura in tre anni si è talmente appraticata che posso adir de dire che hoggi non ci sia pare a lei.”  Orazio Gentileschi

Non potendo che costatare la bravura della figlia, Orazio la affida all’amico Tassi per l’insegnamento della prospettiva. Artemisia era giovane, prosperosa, tenace e molto femminile.

Assedio della città
Agostino Tassi

Nel maggio del 1611, durante una di queste lezioni il Tassi, già dedito ad atti di soprusi, decide di violentarla. Il padre, messo subito a conoscenza dell’accaduto, indispettito e preoccupato per il proseguo della sua collaborazione col collega, concorda col violentatore per un imminente matrimonio con la figlia per ripagarla del danno morale. I mesi si susseguono ed Artemisia continua le sue lezioni col mastro di prospettiva intervallate da effusioni concesse a titolo di futuro marito, ignara del fatto che Agostino Tassi era già sposato ed aveva già un’altra amante.

Da poco è iniziato l’anno 1612 e Orazio litiga con lo Smargiasso per un’opera concessa o rubata da quest’ultimo. Il Gentileschi, memore del sopruso subito dalla figlia, decide di denunciarlo così da aver ripagata l’opera smarrita.

Per Artemisia inizia il calvario del processo in cui lei stessa deve difendersi dall’insinuazione di aver sedotto lo stupratore, passando da vittima a carnefice. Per poter dimostrare la sua innocenza ripercorre e racconta, nei minimi dettagli, l’accaduto ed accetta di sottoporsi alla tortura delle Sibille e visite ginecologiche davanti ad un pubblico divertito.

“Mi mise un ginocchio fra le cosce ch’io non potessi serrarle et alzondomi li panni, che ci fece grandissima fatiga per alzarmeli, mi mise una mano con un fazzoletto alla gola et alla bocca acciò non gridassi e le mani quali prima mi teneva con l’altra mano mi le lasciò, havendo esso prima messo tutti doi li ginocchi tra le mie gambe et appuntendomi il membro alla natura cominciò a spingere e lo mise dentro. E li sgraffignai il viso e li strappai li capelli et avanti che lo mettesse dentro anco gli detti una stratta al membro che gli ne levai anco un pezzo di carne.”  Artemisia Gentileschi, dagli Atti del processo per stupro

 

Le accuse rivolte ad Artemisia furono molte ed esposte con preparata astuzia. La giovane si dovette difendere oltre che dal suo carnefice, dalle calunnie di una donna che viveva in  casa Gentileschi e che, nell’immaginario della giovane, aveva sostituito la figura della madre persa da bambina.

Un processo intimidatorio e diffamatorio che portò ad una mai piena assoluzione della giovane offesa nonostante l’accusa, il 27 novembre 1612, condannò Agostino Tassi all’esilio. Durante i giorni del processo si palesarono complotti e segreti. Fu chiaro che lo stupro di Artemisia fu soltanto una scusa per ottener giustizia su loschi mercanteggi ed affari.

“Come ho detto mi fidavo di lui, et non haveria mai creduto havesse ardito d’usarmi violenza et far torto et a me et alla amicitia che ha con detto mio Padre, et non mi accorsi se non quando […] mi si mise attorno per violentarmi. ” Artemisia Gentileschi, da Atti del processo per stupro.

Cleopatra
Artemisia Gentileschi
1620

Il 29 Novembre del 1612, a soli due giorni di distanza dalla fine del processo, Artemisia è costretta a sposare Pierantonio Stiattesi, un mediocre pittore dell’epoca. Il matrimonio non è felice e la vita di Artemisia a Roma è complicata, la malignità della gente rende difficile anche il suo lavoro artistico.

Nel 1614 decide di trasferirsi a Firenze. Il padre decantò la sua bravura in una lettera a Cristina di Lorena, madre di Cosimo II De‘ Medici. Non si sa bene se per orgoglio personale o per allontanarla. Ormai era diventata molto più brava di lui e nel 1616 è la prima donna ad essere ammessa all’Accademia delle Arti del Disegno.

Giuditta e la sua serva Artemisia Gentileschi 1614-1620

Le opere di Artemisia del periodo fiorentino destano grandissima attenzione. Estremo valore pittorico e bravura nella prospettiva si mescolano ad un perfetto utilizzo della luce e del colore. Le sue figure femminili sono espressione di forza e temperamento. Raccontano le gesta delle eroine della Bibbia ma, tra le pennellate, la lettura del suo passato è chiara.

Colma di rabbia e voglia di riscatto, lei si vendica lì, sulle tele. Attraverso Giuditta che decapita Oloferne.

Giuditta e la sua ancella
Artemisia Gentileschi
1625-1627

Nonostante la sua bravura ed il suo talento, le rimane il difetto di esser donna in un’epoca dominata dalle figure maschili e le commissioni artistiche scarseggiano. Decide di trasferirsi a Venezia e poi a Napoli. Fa un unico viaggio a Londra, nel 1638, chiamata dal padre per aiutarlo in un progetto commissionato da Re Carlo I. Durante la loro collaborazione, nel 1639, il Gentileschi  muore e, dopo una piccola parentesi lavorativa presso la corte inglese, Artemisia ritorna a Napoli dove morirà 31 gennaio del 1654.

“L’unica donna in Italia che abbia mai saputo che cosa sia pittura, e colore, e impasto, e simili essenzialità.”  Roberto Longhi

La sua vendetta Artemisia la ebbe col tempo. Quando si parla d‘arte, poco s’accenna a suo padre Orazio Gentileschi ed ancor meno a quell‘ Agostino Tassi. Se non legati a lei ed alla storia di violenza e bugie che contornarono la sua vita. Quando si citano le figure femminili nella storia dell’arte lei è la prima della lista e si è, sicuramente, guadagnata il trono.

 

 

Artemisia si scopre pennellata dopo pennellata, senza alcun timore. Descrive una vita marchiata dal sopruso, dalla violenza e dall’impossibilità di poter dimenticare. Una vita vissuta cercando di dimostrare la propria innocenza ed il proprio valore. Una giovane tenace e forte nel difendere il suo esser vittima che, attraverso il suo talento, si tramuta in una donna carnefice consapevole ed accanita desiderosa di vendetta.

Una donna rappresentativa della sua epoca e di tutte quelle a venire in cui l’esistenza femminile è stata considerata un abbeveratoio per gole voraci ed assetate. Una donna alla ricerca di una complicità femminile ed un calore materno troppo precocemente perso. Credo proprio che Omero racconterebbe le gesta di questa grande quota rosa, alla ricerca della sua Troia. Passata per solitudine e fughe autoimposte. Artemisia Gentileschi ascoltò le sirene nella speranza di vincere la sua battaglia più importante : l’esser amata.


Note biografiche sull’autrice

Cristiana è nata a Milano il 25 giugno 1969, frequenta il liceo artistico di Bergamo, si diploma nel 1987, frequenta l’istituto d’arti grafiche e figurative San Calimero a Milano per la qualifica di Grafica pubblicitaria nel 1992. Contemporaneamente lavora come free-lance presso studi di grafica per progettazione cartelloni pubblicitari e libri per bambini. Collabora con diversi studi. Interior designer si specializza in Art – design. Collabora free-lance con studi di progettazione d’interni per la creazione di complementi d’arredo artistici e  per la creazione di quadri d’arredo, dipinge. Scrive articoli sulla storia dell’arte.

Per ArteVitae Cristiana scrive nella sezione ARTE 


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