Arte cinetica. Le opere in movimento di Calder e Munari
L’arte cinetica è una tendenza contemporanea che conobbe il successo tra gli anni ’50 e ’60 del Novecento e punta a coinvolgere lo spettatore sul piano percettivo e psicologico. Come nelle opere di Alexander Calder e Bruno Munari.
di Franco Sondrio
L’arte cinetica è una tendenza contemporanea che conobbe il successo tra gli anni ’50 e ’60 del Novecento, benché i precursori siano da ricercarsi nell’ambiente artistico legato alla scuola europea del Bahuaus.
Fino a quel momento si assisteva in pittura ad opere bloccate all’interno di un supporto piano, mentre in scultura ci si affidava unicamente alla resa dei volumi, intorno ai quali lo spettatore poteva girare per apprezzare al meglio le parti componenti dell’opera.
Tutto veniva fruito rispetto all’inamovibilità degli oggetti d’arte e alla libera scelta del punto di osservazione dello spettatore.
Per secoli, la distanza tra lo spazio della rappresentazione e quello dell’osservatore era dipesa unicamente dagli effetti prospettici e dagli artifici utilizzati dagli artisti (soprattutto i pittori e gli architetti). Questi, per coinvolgere lo spettatore si affidavano al trompe-l’oeil per amplificare illusoriamente lo spazio interno di un ambiente. Altra modalità spesso utilizzata era quella di creare degli inganni prospettici, mettendo in eminentia – al di qua del quadro – alcuni elementi della composizione; veniva così garantita la riduzione dell’intervallo tra opera d’arte e spettatore.

Andrea Mantega. Camera picta. Castello di San Giorgio di Mantova. 1465 – 1474.
Pere Borrel del Caso. In fuga dalla critica, 1874. Madrid, Colleción del Banco de Espana
La peculiarità dell’Arte Cinetica risiede essenzialmente nel tentativo concreto di liberare le opere dalla cornice, o dal piedistallo, e consegnarle ad una quarta dimensione, cioè quella spazio-temporale intesa come variabile estetica, espressiva e compositiva. Si tratta di sganciarsi dall’idea di arte già compiuta e contaminata dal passato per esprimersi secondo una modalità del tutto nuova.
Accantonando il concetto Albertiano di quadro inteso come “finestra aperta sul mondo” è possibile aver più chiaro il senso stesso dell’Arte Cinetica.

Bruno Munari e Alexander Calder alle prese con le loro macchine cinetiche.
I “mobiles” di A. Calder (1898 – 1976) e le “macchine inutili” di B. Munari (1907 – 1998), rispondevano al principio in base al quale la pittura va liberata nello spazio e trasportata proprio nella dimensione tempo.
Munari mise in gioco anche il coinvolgimento emotivo dello spettatore colto da effetti di sorpresa dovuti alla liberazione delle forme, che dalla tela potevano finalmente librarsi in aria fluttuando nell’ambiente ospitante, risentendo di tutti i cambiamenti sensibili ad esso connessi.
La creazione di opere cinetiche poteva prevedere dei congegni meccanici atti a produrre un movimento ciclico necessariamente programmato. In altri casi si escludeva la componente meccanica a favore di un movimento libero e non prevedibile, generatore di forme non definibili a priori.
Sia Munari che Calder, nonostante i loro diversi percorsi artistici, scelsero di lavorare con forme semplici, affidando alla purezza della geometria il compito di semplificare e rendere oggettivo il loro pensiero estetico.

In alto: Munari si nasconde dietro un esemplare di Macchina Inutile del 1956, la sua prima produzione seriale realizzata in tiratura di 20 esemplari. [fonte: Domus n. 325 dicembre 1956]. © Aldo Ballo Ph.
Sotto: Macchina Inutile in quattro diverse configurazioni spaziali e condizioni di luce.
© Franco Sondrio Ph.
Munari affermava: “Complicare è facile, semplificare è difficile. Per complicare basta aggiungere tutto quello che si vuole: colori, forme, azioni, decorazioni…. Per semplificare bisogna togliere, e per togliere bisogna sapere che cosa togliere.
Togliere invece che aggiungere vuol dire riconoscere l’anima delle cose e comunicarla nella sua essenzialità”.
Togliere invece che aggiungere vuol dire riconoscere l’anima delle cose e comunicarla nella sua essenzialità. Bruno Munari
Queste affermazioni avvicinano il pensiero del maestro italiano al Minimalismo, consentendogli di realizzare opere che con pochissimi elementi riescono a dare il massimo dei risultati.

Bruno Munari. Macchine Inutili
Nei fotogrammi proposti lo sguardo sulla composizione è portato il più possibile vicino all’evoluzione degli elementi delle macchine; lo spettatore avrà la sensazione di trovarsi nel loro raggio d’azione sentendosi parte dell’ambiente di installazione.
Sul fronte americano Calder colloca la sua sperimentazione nel solco dell’avanguardia e del modernismo. Tre fruttuosi incontri influenzarono la sua carriera artistica: Mirò nel 1928, Mondrian nel nel 1930 e Duchamp nel 1931. Determinante fu la visita allo studio parigino di Mondrian, dove Calder rimase profondamente colpito dallo spazio stesso dell’atelier: “una parete bianca, abbastanza alta, su cui sono affissi dei cartoncini rettangolari dipinti di giallo, rosso, blu, nero e una gamma di bianchi in modo da formare una composizione ampia ed elegante”.

Piet Mondrian, Atelier in Rue du Départ 26, Parigi, 1921-1936 – Ricostruzione del 1995. Courtesy STAM Postma NL Delft 2012. Veduta dell’installazione presso la Staatsgalerie di Stoccarda.
Calder colse immediatamente il principio di permutabilitá dei rettangoli colorati, che Mondrian spostava in modo maniacale cercando la giusta configurazione da riportare successivamente su tela. L’ambiente dell’atelier era visto come un’estensione di ciò che veniva rappresentato, mentre la tela era solo il ritaglio di una porzione più ampia che si estendeva nello spazio sociale dell’esistenza che Mondrian riplasmava attraverso la sua pittura.

Alexander Calder con i suoi Mobiles da terra.
Ed è proprio dalla roccaforte del neoplasticismo di Mondrian che Calder riprende, per le sue opere, la semplicità della struttura compositiva, la restrizione dello spettro cromatico ai colori primari assieme al bianco e al nero, il forte senso di equilibrio geometrico.
I confini delle opere di Calder s’irradiano e si propagano nello spazio reale, non diversamente da una tela di Mondrian, anche se quest’ultimo non poteva avallare l’elemento inedito introdotto da Calder: il movimento. Jean Gallotti descriveva le opere di Calder come “figure geometriche, pure concezioni della mente che evolvono nello spazio in una danza quasi astrale”.

Alexander Calder. I Mobiles, sospesi dal soffitto, conquistano lo spazio aereo
Sarà grazie alla natura coreutica, musicale e contrappuntistica del movimento che i mobiles serviranno da “interludi plastici” agli spettacoli di Martha Graham (Panorama e Horizons, del 1936), regalando alla scena visioni uniche di inestimabile portata artistica.
Il movimento è l’unico discorso su cui non mentire, in esso tutto ciò che è falso o appreso in modo troppo meccanico, diviene chiaramente visibile. Marta Graham
Abbiamo ripercorso le tappe salienti di due artisti profondamente diversi per formazione ed esperienze, ma che nel fascino del movimento, relazionato alla dimensione spazio-temporale, hanno trovato spunti comuni per la loro arte, incantando intere generazioni di spettatori.
Il loro apporto all’arte contemporanea continuerà certamente a suscitare preziosi stimoli, delineando nuovi traguardi per le future sperimentazioni nel campo dell’arte cinetica.
Note biografiche sull’autore
Franco Sondrio nasce a Messina nel 1963 dove attualmente vive svolgendo la sua attività lavorativa a Catania. Compie gli studi superiori nella città dello Stretto, per poi laurearsi in Architettura presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria. Successivamente, consegue il titolo di Dottore di Ricerca presso la Facoltà d’Ingegneria dell’Università di Messina sviluppando una tesi su “La rappresentazione del paesaggio nelle opere di Antonello da Messina”. Ha svolto attività didattica presso la Facoltà di Architettura di R.C. ed è stato correlatore di numerose tesi di laurea negli ambiti del Restauro e della Storia dell’Architettura. É autore di saggi e articoli su libri e riviste scientifiche e, a tutt’oggi continua la sua attività di ricerca, con particolare riferimenti al corpus pittorico antonelliano, agli apparati prospettici quattrocenteschi, agli sviluppi artistici e architettonici di Messina a partire dall’epoca rinascimentale.