Un pittore-fotografo del ‘400: Antonello e la prospettiva
Nel quindicesimo secolo l’utilizzo della prospettiva lineare sovvertì il mondo della rappresentazione pittorica. Antonello da Messina, poco studiato su questo tema fino agli anni ’80 del novecento, si distingue dagli altri artisti per il gioco sapiente dell’inquadratura e delle ombre, come farebbe oggi un bravo fotografo.
di Francesco Galletta
Matteo Colazio, letterato calabrese Neocastri civis ma residente in Veneto, nell’introduzione alla sua Laus Perspectivae del 1475 indirizzata al “Doctissimo viro Antonio Siculo artibus studentium Patavii rectori”, elencava alcuni artisti del suo tempo, definendoli peritissimos nella rappresentazione prospettica. Tra essi spiccavano: Antonello da Messina, per la Pala di San Cassiano (fig. in testa all’articolo), Gentile e Giovanni Bellini excellentissimis operibus e Andrea Mantegna patavum multo opere clarum.
Non sappiamo se l’autore ponesse volutamente per primo il messinese in questa lista, ma ciò che sicuramente emerge dal testo è lo stretto rapporto tra la sua fama di pittore prospettico e il quadro veneziano, i cui frammenti – oggi a Vienna – rendono solo in parte l’idea di come fosse in origine.
Antonello iniziò la Pala per il patrizio Pietro Bon nell’agosto del 1475, dopo essersi trasferito in Laguna. Sempre in quell’anno, ma forse prima di lasciare l’Isola, avrebbe dipinto il San Gerolamo nello studio. Ancor prima, nel 1473, consegnava a Messina il Polittico di San Gregorio e, nel 1474, l’Annunciazione per Palazzolo Acreide. Il San Sebastiano, infine, eseguito nel 1478 per i veneziani, completa una serie di dipinti prospettici che, posti in successione cronologica, hanno indotto molti critici a ragionamenti evolutivi sul suo modo di usare tale strumento di rappresentazione, da una presunta approssimazione siciliana fino alla compiutezza raggiunta solo in punto di morte (1479), dopo l’esperienza a Venezia.
In verità, sempre in tema di rappresentazione, ricordiamo che la rivelazione di un’accurata costruzione prospettica associata a una precisa struttura modulare è per l’Annunciazione (fig. 1) un’acquisizione recente (Galletta-Sondrio, 2006) confermata dall’ISCR durante l’ultimo restauro del dipinto (Basile, 2008) ma in contrasto a quanto espresso fino a quel momento da tutti gli storici dell’arte.

Fig. 1 Annunciazione – Antonello da Messina
Ulteriormente, va rilevato che la ricostruzione al tratto della Pala di San Cassiano (Wilde, 1929 – fig. 2), affascinante nel complesso e verosimile nell’accostamento proporzionale delle figure, poiché desunta dalle copie seicentesche del Teniers, è opera d’assoluta invenzione nel disegno dello sfondo architettonico, direttamente copiato da quello di Cima per la Pala di Conegliano.

Ricostruzione al tratto della Pala di San Cassiano (Wilde, 1929) – Fig. 2
È innegabile invece che proprio tale porzione dell’opera, realizzata dal pittore secondo regole prospettiche precise (come ci fa pensare Colazio), difficilmente potrà essere ridisegnata, poiché alcuni elementi basilari della prospettiva quali il punto principale o la linea di orizzonte, sono a mala pena intuibili nelle porzioni superstiti. La metodologia di Wilde, del tutto opinabile nel campo della rappresentazione, ha assunto però, per le particolari vicende del dipinto, valori iconici comodi e definitivi per gli storici dell’arte, suscitando in seguito solo critiche limitate o sottaciute.
Invece, il Polittico di San Gregorio (fig. 3), spesso collocato al gradino più basso di una presunta scala di valori tra le opere sopra citate, per i ripetuti eventi avversi si presenta oggi amputato del pannello centrale superiore e del fondamentale apparato ligneo della cornice, che modulava il primo livello percettivo; inoltre già nel XVI secolo l’opera era stata spostata dalla sua sede iniziale. È evidente come la combinazione di tali circostanze abbia stravolto l’originario impatto prospettico del dipinto, ormai affidato soltanto alla collana sporgente dalla pedana semi circolare in aggetto e alla mimica teatrale dei personaggi.

Polittico di San Gregorio (fig. 3)
Che il Polittico fosse un’opera molto conosciuta nella Sicilia Orientale, lo dimostrano i prestiti iconografici cui attinsero molti pittori successivi ad Antonello i quali, però, non seppero ricreare nei loro schemi centrici il bilanciato disequilibrio dell’originale, dovuto anche alla posizione asimmetrica del punto principale.
Il San Sebastiano (fig. 4), invece, è il quadro del messinese più studiato nell’ambito della rappresentazione, ma solo dal Convegno di Messina del 1981, prima con strumenti di rilievo manuali, poi informatici. Tuttavia, che la costruzione prospettica e la geometria modulare dell’opera avessero regole precise è di un’evidenza imbarazzante, mentre è inconcepibile il ritardo con cui la critica è giunta a trattare il tema in Antonello.

fig. 5 – San Gerolamo nello Studio, Antonello da Messina
In verità l’unico dipinto del pittore incluso in un dibattito teorico sulla prospettiva (ma non sulle regole, Panofsky, 1926) è stato il San Gerolamo nello studio (fig. 5), che però, come dedotto da analisi specifiche (Sgrilli, 1985), segue percorsi visivi molto più trasgressivi di quanto dimostri a prima vista. In questo caso, però, la valenza iconica del dipinto e la magica attrazione del grande spazio architettonico nel piccolo formato, hanno contribuito a rendere quest’opera unica nell’immaginario generale.
Di contro l’Annunciazione, già messa in disparte per la sua informe discontinuità figurativa, fino al 2006 era travisata anche nel campo della rappresentazione, benché alcuni aspetti evidenti, come l’uso della cornice architettonica in eminentia verso lo spazio dell’osservatore (fig. 6), la spiccata asimmetria del punto principale rispetto al formato quadrato e lo stretto rapporto cronologico con tutti i dipinti citati, potessero già raccontarci una “storia prospettica” ben diversa del suo.
Ciò che emergerebbe da una veloce analisi comparata di queste opere non è, perciò, la necessità che il messinese abbia acquisito a Venezia una capacità prospettica compiuta, in verità già salda sin dalla stesura del Polittico e di certo precedente, ma la sua incredibile duttilità nel creare opere sempre diverse, quasi dei singoli pezzi unici, rimodulando gli elementi della visione e della percezione tramite l’uso della prospettiva.
Tuttavia, la maestria prospettica del pittore non è limitata alla resa delle figure umane o degli elementi architettonici (la pedana semicircolare del Polittico, l’architrave dell’Annunciazione, l’arco e le crociere del San Gerolamo, i caseggiati del San Sebastiano), qualità comune a quasi tutti gli artisti della penisola italiana in quel periodo, piuttosto si amplifica nell’abilità a determinare coscientemente, attraverso la prospettiva, l’inquadratura più adatta a fondere la narrazione emotivo-devozionale con il contesto.
È proprio nella capacità di inquadrare la scena, come farebbe oggi un fotografo, che emerge la specificità di Antonello. Egli depura fino all’essenziale gli spazi architettonici e le quinte prospettiche, riduce il numero dei personaggi del racconto e li colloca, con accorto allestimento, in posizioni ben definite, connettendoli allo spettatore attraverso uno scambio dialogico di sguardi di stampo quasi teatrale.
Insieme alla regia della scena, Antonello esplora però, con ineguagliata maestria, anche quella meravigliosa […] dell’ombra (Lucco, 2006), concetto estendibile alla sua intera produzione con vari significati. Ombre proprie e portate, infatti, danno volume ai corpi, caratterizzano le architetture e definiscono il clima emotivo del racconto visivo messo in scena dall’autore. Come quelle dell’avvolgente profondità dell’Annunciazione che contrastano il luminoso primo piano ed esaltano la colonna monolitica.
Sono ancora ombra e luce, nel San Gerolamo, a dare sostanza corporea al minuzioso disegno prospettico, centrico nell’ideazione ma dissonante nello svolgimento. Quella luce che investe la scena da sinistra, così abbagliante da creare, per reazione, un’ombra altrettanto intensa, stemperata solo dal digradare del pavimento che, in profondità, diventa puro oggetto luminoso.
Sempre luci e ombre, pur diverse dalle precedenti, compongono la piazza del San Sebastiano dove, sulle facciate di sinistra, appare un controluce prodigioso in una prospettiva spietata, perfetta nel disegno di dettaglio di due archi e di una lunetta in forte scorcio.
Antonello, quindi, muove costantemente, come pedine su una scacchiera, gli elementi della costruzione prospettica. Per ogni dipinto varia, secondo moduli ben determinati, la posizione della linea di orizzonte e del punto principale, quest’ultimo dall’asimmetria destra del Polittico a quella sinistra dell’Annunciazione.
Nel San Gerolamo invece, pur mantenendo al centro l’inquadratura, divaga lo sguardo dell’osservatore con i calibrati spostamenti asimmetrici delle bifore, del montante mediano della libreria e dell’arco dello studio, che inquadra, a sua volta, la finestra di sinistra esattamente al suo centro, come sfondo.
Anche la Pala di San Cassiano aveva una costruzione centrica, come rileviamo dalla simmetria delle facce interne del trono della Vergine, con una linea d’orizzonte molto bassa (coerentemente proposta dal Wilde) ma, probabilmente, Antonello vi avrà applicato, pure questa volta, i suoi tipici disallineamenti dall’asse (già evidenti nel gruppo centrale), incrociando visivamente lo spettatore con gli sguardi dei tre santi di sinistra.
Rimarrà per sempre legittima, seppur insoluta, la necessità critica di capire se l’architettura sullo sfondo della Pala fosse, in origine, un transetto con cupola come supposto da Wilde e ripreso poi da Cima (ma presente anche nella perduta Pala di Alvise Vivarini già a Berlino) o un vano quadrato con crociera, come nella precedente Pala di Santa Caterina di Bellini, bruciata nel 1867.
Ancora, se il messinese abbia dipinto una volta a botte con abside semicircolare, come Giovanni Bellini nella successiva Pala di San Giobbe e se, come scrivono in molti, tutto sia partito dal modello della Pala di Brera di Piero della Francesca, in verità distinta per la collocazione delle figure in file parallele davanti al transetto e per la diversa illuminazione della scena.
Tuttavia, a prescindere dalle varie ipotesi, tutte poco comprovabili nel campo della rappresentazione (ma anche nell’ambito storico artistico), per la mancanza delle parti perdute di San Cassiano e di qualsiasi altra prova, non è improprio supporre che la potenza dell’inquadratura e l’uso specifico delle ombre siano stati elementi peculiari dell’opera, il giusto collante tra una stesura pittorica di pregio e una prospettiva strutturata alla perfezione. Un insieme che impressionò talmente i contemporanei da divenire, nelle parole di Matteo Colazio, il paradigma stesso della perizia prospettica di Antonello.
Note biografiche sull’autore
Francesco Galletta (Messina, 1965), architetto, grafico. Titolare di Tecniche Grafiche alle scuole superiori; laureato con una tesi di restauro urbano, è stato assistente tutor alla facoltà di Architettura dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria per Storia dell’Urbanistica e Storia dell’Architettura Moderna. Dottore di Ricerca alla facoltà di Ingegneria di Messina, in rappresentazione, con una tesi dal titolo: “L’Immaginario pittorico di Antonello”. Con l’architetto Franco Sondrio ha rilevato, per la prima volta, la costruzione prospettica e la geometria modulare dell’Annunciazione di Antonello. La ricerca, presentata in convegni nazionali e internazionali, è pubblicata in libri di diversi autori, compresa la monografia sul restauro del dipinto. Sempre con Franco Sondrio ha studiato l’ordine architettonico dell’ex abbazia di San Placido Calonerò nell’ambito del restauro in corso e scoperto a Messina un complesso architettonico della metà del ‘500, collegato al viaggio in Sicilia del 1823 dell’architetto francese Jaques Ignace Hittorff.
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