23 Ottobre 2017 By Francesco Galletta

Antonello da Messina, un brand poco “cool”?

Per la pubblicazione in Italia del libro francese di François Cérésa Antonello, Léonard de Vinci et moi, l’editore inventa un titolo che fa apparire le cose diverse da come sono.

di Francesco Galletta

RECENSIONE: François Cérésa, Leonardo e io. Un mercenario-pittore nell’Italia del Rinascimento, Edizioni Aliberti, Reggio Emilia 2011.

Leonardo e io. François Cérésa – Aliberti 2011

Il primo piano della Gioconda in copertina e il titolo – Leonardo e io – non lascerebbero dubbi. Il sottotitolo, inoltre, ci anticipa già l’ambientazione: Un mercenario-pittore nell’Italia del Rinascimento. Il libro di François Cérésa, edito in Italia da Aliberti nel 2011, si presenta perciò con un’immediata riconoscibilità.

Antonello, Léonard de Vinci et moi. François Cérésa – Plon 2011

Tuttavia, scorrendo la trama, iniziano le sorprese: è la storia immaginaria di un soldato che Antonello da Messina trasformerà in pittore. Nel racconto appare “anche” Leonardo. La domanda, ovviamente, viene spontanea: perché in un libro su Leonardo il protagonista è Antonello? Con stupore, scopriamo in seconda pagina che nell’originale francese il titolo era: Antonello, Léonard de Vinci et moi.

Incredibilmente, in Italia il messinese scompare dal titolo pur essendo un protagonista della storia, a favore di Leonardo che è solo un comprimario. Ancora, l’origine geografica, non sempre associata al toscano ma identificativa del siciliano, ha un valore invertito: ad Antonello manca il da Messina, Leonardo ha il suo da Vinci. L’insieme è fuorviante e innesca una risentita perplessità.

Malgrado ciò, un motivo d’interesse, per chi ama il genere, resta la “prima volta” del pittore messinese in un ambito puramente narrativo. Dobbiamo ricordare, infatti, che le poche precedenti incursioni letterarie nel mondo antonelliano furono l’intrigante prefazione di Sciascia nella monografia di Mandel, del 1967, sulla sicilianità e Il sorriso dell’ignoto marinaio di Consolo del 1977, dove il tipo isolano del ritratto Mandralisca si sublimava nell’assoluto del tipo umano.

In seguito, arriveranno tre narrazioni sul pittore: Il Condottiero di Georges Perec, del 2012 e i recenti romanzi L’uomo che veniva da Messina, di Silvana La Spina e Antonello da Messina tra i misteri di Giovanna Mollica La Torre.

François Cérésa

Il protagonista del libro di Cérésa è Francesco Gelpi da Girgenti, un soldato che nella sua breve esistenza violenta ha già visto il peggio del male. Ventunenne all’epoca dei fatti narrati, uomo di spada veloce, si muove in una Venezia trasbordante di maschere umane e fittizie, nel pieno del carnevale del 1473. Incolpato di un omicidio, in verità non commesso, scapperà verso Messina, passando prima per Firenze.

È lo stesso Gelpi, da cinquantacinquenne, a rievocare le vicende di quel lontano periodo della sua vita quando, con fatica, era riuscito a redimersi dal male tramite il disegno, spronato da Antonello, conosciuto per caso.

La vicenda, dalla trama complessa e a tratti poco chiara, gira intorno a una donna misteriosa dal sorriso enigmatico, intravista da Gelpi a Venezia.

Lei, soggetto dell’unico quadro che il soldato-pittore dipingerà nella sua vita, è la chiave che aprirà il suo percorso interiore verso il valore della Bellezza, il solo antidoto ai suoi tormenti.

Il ritratto dell’ignota, infine distrutto dallo stesso Gelpi, rimarrà indelebile nella mente di Leonardo che ne userà il ricordo per dipingere la Gioconda.

Partendo da un reale fatto storico, la drammatica conquista turca di Negroponte che si scoprirà essere l’origine dell’intreccio, Cérésa costruisce una sorta di spy-story del ‘400 mettendo insieme protagonisti veri e di fantasia. Molti personaggi entrano ed escono dalla vicenda, nel cui disegno complessivo nulla è come appare e, tutti, coscientemente o no, recitano fino in fondo una parte.

Delle tre città sfondo della storia, Cérèsa tratteggia brevi ma incisive immagini, che fissano come pennellate una loro possibile anima. Venezia è la metropoli del tempo: cosmopolita, violenta, regale, perennemente decadente, fosca e falsa; le maschere del carnevale sono anche quelle umane e le vicende vi s’intrecciano sempre a doppia faccia.

Firenze è tutta nella descrizione, quasi olfattiva, della bottega del Verrocchio, conosciuto da Gelpi per caso. Il variopinto microcosmo di quell’epicentro d’arte è il paradigma della città; perciò nel laboratorio di pittura della bottega ritroviamo, come figurine da collezione a lavoro, un Lorenzo di Credi spigoloso, un timido Ghirlandaio, un biondo Botticelli in visita di cortesia, un Perugino che discorreva in silenzio e, finalmente, Leonardo, l’alunno preferito.

Verrocchio, osservando la capacità di Gelpi nel disegno ne incoraggerà il cammino artistico, mentre Leonardo, che entra in scena soltanto a pagina 24, rivela il suo nome alla 27 e sparisce per buona parte della storia, lo prenderà subito in simpatia. Il soldato osserva quel mondo ma non lo capisce e, benché quella visita fu senza dubbio una rivelazione, per guardare la vita con gli occhi dell’Arte dovrà prima affrontarne di persona il suo funzionamento.

Messina invece, dove l’azione si svolge da pagina 29 a 53, è ben riassunta nella sua essenza in poche righe: un compendio dei libri scritti dagli storici locali sulla città del ‘400, persino più pregnante, sul piano emotivo, della distaccata visione dei critici sull’ambito d’origine di Antonello: al porto, dove transitavano zucchero e spezie d’Oriente, vendevano seta, lino, fustagno, cotone, vino. Erano fioriti i banchi stranieri. Si parlava il francese, il tedesco, l’aragonese. E pure l’arabo.

Ci vuole la leggerezza dello scrittore per schizzare, in breve, una città di variopinta umanità, luogo di mare e di commercio. Inoltre, senza le sovrastrutture in cui molti inciampano, Cérésa immagina Antonello al lavoro partendo da una chiara asserzione: La [sua] bottega […] non aveva nulla a che vedere con quella di Verrocchio. Infatti, con lui ci lavorava tutta la famiglia [compreso il figlio] Jacobello […] e poi una schiera di servi, apprendisti, commessi.

Magari l’autore lo fa inconsapevolmente, ma in poche righe apre e chiude due questioni critiche. Nella differenza delle botteghe, dove non rileviamo per forza un contrasto fra arretratezza e progresso quanto un raffronto fra mondi diversi, abbiamo da una parte la Nazione Fiorentina che respira l’arte, dall’altra l’Isola Siciliana, che pone la famiglia al centro delle relazioni umane e lavorative.

La presenza di Jacobello, che riempie la storia più di Leonardo, rimanda poi alla disputa su quale fosse il suo ruolo nella bottega e che relazione avesse con l’arte del sommo padre. In genere poco valutato dai critici, nell’invenzione romanzata il diletto figlio è la vera guida artistica del soldato Gelpi nella pratica pittorica. Di nuovo, con leggerezza da scrittore, Cérésa esprime ciò che gli storici dell’arte hanno stentato spesso a dichiarare: per ragioni di continuità nella conduzione della bottega, Jacobello deve aver aiutato oltremodo il padre in molti suoi dipinti.

Se, nel complesso, la narrazione di Cérésa può essere presa a prestito per guardare il mondo artistico del ‘400 da un punto di vista diverso (compresa la necessaria ma fantasiosa descrizione fisica e caratteriale di Antonello, del tutto ignota), sono invece alcuni dati storici inutilmente sbagliati a destare perplessità.

Fra le altre cose, il vero nome di Antonello, Antonio d’Antonio, diventato senza motivo di Salvatore, pittore che avrebbe dipinto per re Ferdinando I di Napoli, laddove, dopo la morte di Alfonso il Magnanimo, la Sicilia rimarrà con l’Aragona di re Giovanni II. Tra le sviste più bizzarre, a pagina 47 appaiono dei pomodori, arrivati in Europa solo dopo i viaggi di Colombo, quindi a notevole distanza da quel 1473 in cui si svolge la storia. Inoltre a pagina 94 rileviamo un’inverosimile frontiera belga, termine fuori tempo visto che all’epoca quei territori erano intesi come Fiandre o, al limite, Paesi Bassi e i suoi abitanti sono sempre stati Fiamminghi, mentre il Belgio, entità politica dal 1790, sarà nazione solo nel 1830.

Terminando con Leonardo, brand evidentemente più allettante di Antonello per l’editore italiano, registriamo che, abbandonata la storia a pagina 27, torna in circolo tra la centoundicesima e la centodiciassettesima; è di nuovo citato a pagina 141 e chiude il romanzo alla 143, mostrando la sua Monna Lisa a Gelpi.

Davvero uno strano titolo!

 


Note biografiche sull’autore

Francesco Galletta (Messina, 1965), architetto, grafico. Titolare di Tecniche di Rappresentazione Grafica alle scuole superiori, si è laureato con una tesi di restauro urbano ed è stato assistente tutor alla facoltà di architettura di Reggio Calabria per Storia dell’Urbanistica e Storia dell’Architettura Moderna. Dottore di ricerca in rappresentazione alla facoltà di Ingegneria a Messina con una tesi dal titolo: “L’Immaginario pittorico di Antonello”. Con l’architetto Franco Sondrio ha rilevato, per la prima volta, la costruzione prospettica e la geometria modulare dell’Annunciazione di Antonello. Tale ricerca è stata presentata in convegni nazionali e internazionali ed è pubblicata in libri di diversi autori, compresa la monografia sul restauro del dipinto. Sempre con l’architetto Sondrio ha studiato l’ordine architettonico dell’ex abbazia di San Placido Calonerò a Messina nell’ambito del restauro in corso e rivelato un inedito complesso architettonico nel comune di Messina.