natale
Il presepe nato per raccontare la Natività cristiana, nel tempo si evolve nell’allegoria di una realtà in cui sacro e profano si fondono.
di Giusy Baffi
L’arte del presepe è un’arte antica. Il presepe, nato per rappresentare il racconto evangelico, originariamente intriso di pura spiritualità ed esclusivamente presente nelle chiese, si trasforma e si evolve con il passare degli anni in una simbolica allegoria di una realtà nella quale si fonde il sacro con il profano, dove l’impianto scenografico trova sempre al centro la grotta o la mangiatoia nella quale riposa il Bambino e verso cui convergono pastori e Re Magi, oltre ad innumerevoli personaggi con animali e oggetti d’uso quotidiano in un caleidoscopio di motivi, credenze e forme dell’immaginario popolare.
In Sicilia furono quattro i centri principali di diffusione dell’arte presepiale: Palermo, Siracusa, Caltagirone e Trapani.
Sia a Palermo che a Siracusa era fiorente l’apicultura e fin dal ‘600 veniva utilizzata la cera per plasmare non solo il Bambinello ma l’intero presepe, erano infatti chiamati “I bambiniddara” gli artisti che tra il ‘600 e il ‘700 operavano a Palermo, in botteghe situate in una strada dietro la Basilica di San Domenico.
Intorno al 1800 sono rinomati i “cerari” siracusani, anch’essi specializzati nell’arte del presepe e del Bambinello. Alcuni esempi di presepi in cera sono tutt’ora presenti presso l’Eremo di San Corrado a Noto e nel Museo Bellomo di Siracusa. A Noto, nel Palazzo Vescovile è conservato un presepe con 38 figure con lo sfondo del paesaggio dei Monti Iblei.
A Caltagirone intorno all’800 le figure dei pastori sono realizzate interamente in terracotta. Nella ricca produzione locale si possono individuare un filone colto ed uno popolare. Al primo filone le figure vengono eseguite dai migliori maestri ceramisti dell’epoca, con precisione nei dettagli ed opulenza nei costumi e nei doni, mentre il secondo filone, destinato alle classi meno abbienti, è caratterizzato dalle figure lavorate e dipinte rozzamente esclusivamente nella parte anteriore, nonché dai costumi e dalla umiltà dei doni.
A Trapani l’arte di lavorare i coralli raggiunge il suo apice tra il ‘600 e il ‘700 periodo nel quale i maestri corallari utilizzano la tecnica della “cucitura”, ossia l’uso di piccoli frammenti di corallo cuciti sul retro di una lamina e sostenuti da perni. I presepi trapanesi si distinguono per l’utilizzo di materiali nobili e quindi non solamente il corallo, ma anche la madreperla, l’avorio, l’argento, l’alabastro pur senza disdegnare le conchiglie e l’osso. Splendidi esemplari sono custoditi nel Museo Pepoli di Trapani e al Museo Antonio Cordici di Erice. Per comprendere maggiormente l’uso del corallo è bene soffermarsi sul suo forte significato simbolico: già nell’Antico Testamento rappresenta le eccelse virtù dell’uomo, la purezza e la bellezza; per l’antica Grecia è il sangue della Gorgone Medusa, uccisa da Perseo, che, scorrendo dalla testa recisa, si pietrifica sugli arbusti su cui essa è appoggiata, testimoniando la vittoria della vita sulla morte; per il Cristianesimo il corallo è associato al sangue di Cristo, divenendone simbolo della passione e della resurrezione.
Il Settecento fu il periodo d’oro del presepe e Napoli fu la città che più e meglio delle altre riuscì ad esprimere questo fenomeno culturale.
Gli artisti napoletani realizzarono il primo pastore costruito con l’anima in ferro ricoperta di stoppa, con solo la testa e gli arti in terracotta dipinta e gli occhi in vetro, riuscendo così ad ottenere movimento, duttilità, veridicità e naturalezza alle scene; in questo modo trasformarono il presepe nello specchio di un’epoca: mescolando elementi sacri e profani, reali e mitici, rappresentando la miseria di un popolo in contrapposizione allo sfarzo della corte in una commistione tra epoche diverse ed introducendo elementi capaci di stimolare la fantasia e l’immaginazione di chi li osservava.
Già intorno al 1730, con le nuove scoperte archeologiche di Ercolano e Pompei, si vuole dare un’ulteriore valenza al presepe, con l’aggiunta di nuove componenti simboliche e culturali. Ecco quindi che il tempio in rovina accanto alla grotta indica il trionfo del cristianesimo sul paganesimo, gli angeli annunciano alle persone semplici e umili la nascita di Cristo che li avrebbe riscattati dalla loro posizione di miseria e povertà, mentre lo sfarzo e l’oro dei Magi, col loro ricco corteo, contribuisce ad alimentare il desiderio di conoscenza e il gusto del nuovo e dell’esotico tipico dell’epoca.
Famosi a livello internazionale sono il presepe del Banco di Napoli esposto nel Palazzo Reale di Napoli, sontuosa composizione fatta da 210 figure e 144 accessori, la maggior parte creati da artisti del calibro di Angelo Viva, Lorenzo Mosca, Salvatore Franco, Sammartino e i Celebrano, ed il presepe del Museo della Certosa di San Martino allestito nel 1879 e donato da Antonio Cuciniello: le figure e gli oggetti sono databili tra il 1750 e il 1850, le scene furono ideate dall’architetto Niccolini, da Luigi Farina e dallo stesso Cuciniello, passando nella composizione dal pathos del drammaturgo Luigi Masi. Ultima cosa da sottolineare è che nel presepe napoletano ogni oggetto, ogni personaggio ha una doppia valenza più allegorica che decorativa con le figure poste secondo uno schema altamente simbolico.
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©Giusy Baffi 2017
Per approfondimenti:
http://www.antiqua.mi.it/presepi.htm
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