Alessandro Gionni, la fotografia tra forme, simmetrie e volumi.
In copertina oggi c’è Alessandro Gionni. Nel consueto appuntamento dedicato all’approfondimento dei nostri autori, ne racconteremo la storia e la fotografia.
di Luigi Coluccia
Siamo da sempre molto affascinati dai suoi lavori. Alessandro infatti ha un modo molto personale di raccontare per immagini. Riesce sempre a cogliere gli aspetti essenziali del contesto architettonico e urbano che racconta. Ce li restituisce poi attraverso interessanti elaborazioni. Quest’ultime, sono sempre caratterizzate da sobrietà ed eleganza.
La sobrietà, l’eleganza e un’elaborazione sempre attenta, rappresentano quindi la cifra stilistica di questo interessantissimo autore. La fotografia di Alessandro Gionni è originale e si pregia sempre di particolari e ricercati punti di osservazione. Quello che con la sua arte racconta è uno spaccato sempre caratterizzante del contesto in cui opera. Ne deriva come risultato finale un’opera che viene esaltata dai tagli e dalle composizione mai banali e scontate.
Alessandro Gionni è nato a Frascati nel marzo del ’58, cittadina dei Castelli Romani in cui è cresciuto e vive. Si definisce un single di ritorno, è separato e padre di due ragazzi, Andrea 22 anni e Giulia 18. Ha praticato per anni e a buon livello la scherma, uno sport molto utile a modellare il carattere rendendolo pronto alle sfide. Si è laureato in Biologia presso la Sapienza di Roma. Lavora come Responsabile di Produzione presso una società Chimico Farmaceutica.
AVB: Alessandro, grazie di aver accettato il nostro invito a raccontarti. Come e quando la passione per la fotografia si è accesa in te?
AG: Ho incrociato per la prima volta la fotografia da studente universitario. Ero “armato” di una Canon AE1 e di una buona dose di tempo a disposizione da dedicarle, anche per la stampa in camera oscura. Quest’ultima era ubicata nel bagno di casa di un mio coetaneo! Ho poi accantonato questa passione per diversi anni. Circa nel 2011 poi, grazie alle grandi insistenze di un amico, sono tornato a fotografare, entrando così nel mondo del digitale. Era cambiato tutto! Dalla fase fase dello scatto vero e proprio alle tecniche di post produzione.
AVB: Quali sono i generi fotografici che ti hanno appassionato fin da subito, come invece sei poi arrivato al tuo approdo, la fotografia d’architettura?
AG: Inizialmente il mio approccio è stato quello di scoprire, senza preclusioni, le potenzialità tecniche ed espressive del digitale. L’ho fatto essenzialmente documentandomi su internet. Ho una biblioteca di fotografia di circa 150 titoli. Per affinare la post produzione, seguo i tutorial di professionisti del settore. Ho in mente, quasi inconsciamente, i concetti di essenziale, pulito, minimale. Ho finito quindi per essere sempre più attratto da tutto ciò che è forme e simmetrie. Ho trovato così, nella fotografia di architettura il mio campo di azione preferito.
AVB: Nella tua produzione fotografica il B&W sembrerebbe essere determinante. C’è una ragione che spiega questo?
AG: Senza generalizzare, ritengo che, nella fotografia di architettura come io la concepisco, di insieme o di dettaglio, siano essenziali il contrasto, la composizione e, ove presente, la simmetria. Il colore in questo caso, azzardo a dire, potrebbe risultare addirittura un elemento di disturbo. Se, tolto il colore, lo scatto continua a catturare l’attenzione di chi guarda, allora avremo fatto un buon lavoro con la luce, il soggetto e la composizione. Senza “effetti speciali”.
AVB: La post produzione delle tue immagini è una componente molto importante. Cosa ne pensi di questa attività collaterale che oramai lega ad essa la moderna fotografia? E’ assimilabile a tuo avviso a ciò che una volta si faceva in camera oscura o a volte oggi si supera qualche limite?
AG: Avendo praticato un po’ di camera oscura non faccio fatica ad accostarla alla moderna camera chiara di Photoshop. Si tratta pur sempre di post produzione. Il potenziale attuale di questi software è però eccezionalmente più elevato e sconfinare nella grafica computerizzata è un rischio sempre presente. D’altro canto, in generi fotografici quali l’architettura fine art di cui Joel Tjintjelaar e Julia Anna Gospodarou sono i rappresentanti di spicco, la realtà ed il soggetto di partenza sono secondari rispetto alla “visione” che gli artisti vogliono rendere. Qui allora la post produzione assume una rilevanza molto importante. Non a caso ho usato il termine “artisti” invece di “fotografi”.
AVB: La tua produzione fotografica è molto legata alla tua città, Roma. Quanto pensi possa incidere nella capacità d’espressione di un fotografo il produrre fotografie sempre negli stessi luoghi piuttosto che durante viaggi in posti sempre diversi? La stimolazione visiva e creativa dipende esattamente da che cosa a tuo avviso?AG: Non sono un viaggiatore seriale e quindi il fotoreportage se pur architettonico non è un genere che mi contraddistingue. Ho la fortuna invece di abitare a 15 Km dal centro di Roma e questo mi offre l’opportunità di scattare in quartieri molto interessanti. L’’EUR ad esempio, in termini di architettura offre parecchi spunti. Il rovescio della medaglia è che Roma è tra le metropoli più “scattate” al mondo. Il rischio di fare la solita foto “cartolina” è sempre in agguato. Qui parte allora la sfida, essere possibilmente originali. Si cerca quindi il diverso punto di vista, si lavora con ottiche particolari, si punta al dettaglio. Insomma, un buon “occhio fotografico” a Roma serve, eccome!
AVB: Come vedi il futuro della fotografia che oramai è sempre più social e come invece vedi il tuo. Rimarrai sempre legato a questo genere o pensi che tu possa fare ulteriori migrazioni creative verso altri generi?
AG: Dal momento in cui ho di nuovo ripreso a coltivarla, la fotografia è diventata per me espressione e condivisione di emozioni. Emozioni visive che, tramite la macchina fotografica, provo a trasferire da me a chi ha la bontà di soffermarsi sui miei scatti. Uso quindi i social per questo scopo, ma anche per misurarmi con chi di fotografia ne mastica molta più di me, da cui posso sempre imparare. Sia detto senza piaggeria, Achiminimal School, per esempio, è stato per me un banco di riscontro molto significativo. Sono un autodidatta, non ho avuto maestri e quindi avere dei riferimenti mi aiuta a produrre qualcosa che possa essere ritenuto apprezzabile.
AVB: Pensi che prima o poi possa diventare qualcosa più che un hobby questa tua grande passione?
AG: La fotografia per me, al momento, può solo essere un hobby. Non mi precludo la possibilità di studiare ancora altri generi e tecniche fotografiche. E’ un mondo, quello della fotografia, dove la curiosità e la creatività possono trovare sempre nuovi spazi ed il cervello non impigrisce!
AVB: Nella tua produzione fotografica si può facilmente notare l’assenza della presenza umana. Puoi spiegarci questa tua inflessione?
AG: Vale un po’ quello che ho detto per il colore a proposito del “disturbo”. La presenza umana la concepisco pienamente per le foto di street dove lo scatto è veloce, rubato, contestualizzato. Nella foto di architettura ci sono altri ritmi. Si lavora con tempi legati allo studio e alla preparazione di uno scatto, che la avvicinano alla fotografia da studio.
AVB: Di quali mezzi tecnici ti avvali per realizzare la tua produzione fotografica?
AG: Ho una Nikon D7100 ed una serie di ottiche che vanno dall’8mm Samyang al 70-200 Tamron. Del corredo fa parte anche un Tamron 90mm per la macro. Per la post produzione uso quasi esclusivamente Photoshop, con a bordo un certo numero di plugin, utilissimi per abbreviare i tempi di lavoro.
AVB: Alessandro, non ci resta che ringraziarti per la gentile concessione di questa intervista. Non è sempre facile parlare di sé e dei propri lavori, per cui apprezziamo molto la tua disponibilità.
AG: Grazie a voi dell’opportunità concessami. Alla fine di questa amabile chiacchierata, permettetemi di salutare gli amici di Archiminimal, arrivederci.
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