A spasso nel cinema, sulla via Emilia.
Diamo inizio oggi ad una sorta di spin off della rubrica sul binomio cinema e viaggio presentata nelle puntate passate. Perché con e nel cinema è impossibile smettere di viaggiare e i luoghi da scoprire sono senza fine, come i suoi viaggiatori. Dato che quest’anno si celebra in tutto il mondo l’anniversario della nascita di Federico Fellini, approfitto del mio essere romagnola per proporvi un piccolo- grande viaggio cinematografico, quello lungo la nostra strada del cuore: la via Emilia.

Luigi Ghirri – Modena 1973
di Gabriella Maldini
La via Emilia non è solo una strada, è una visione del mondo, un modo di essere; perfino un mito, una leggenda, come possono diventarlo alcuni luoghi particolari; ad esempio il West. Lo sa bene Francesco Guccini che, nel 1984, ha intitolato il suo album Fra la via Emilia e il West; e già questo ci dice molto sul modo di sentire degli emiliano-romagnoli, gente che ha la fantasia di mettere insieme uno dei luoghi mitici per eccellenza, del cinema e non solo, il West, appunto, e una ‘piccola’ strada, che solo strada non è, e che se ne sta lì da più di duemila anni.
Noi che la percorriamo ogni giorno, forse non ce ne accorgiamo più, ma la via Emilia è anche, e forse soprattutto, un luogo interiore che, partendo dalla terra, affonda le radici nel vissuto di ognuno di noi, nei ricordi, nelle emozioni, in quei paesaggi che ci portiamo dentro e che sono parte di noi, come l’accento o il modo di camminare. La via Emilia è una storia fatta di mille storie, quelle che da oggi proveremo a raccontare attraverso lo sguardo dei suoi autori più grandi, da Bellocchio a Bertolucci, da Fellini a Zurlini.

Marco Bellocchio
Secondo una direzione Nord – Sud, la prima tappa del nostro viaggio è Piacenza; anzi, per essere precisi, la collina piacentina; e lo sguardo è quello scandaloso di Marco Bellocchio che nel 1965, con il suo primo film, I pugni in tasca, scatenò polemiche così violente da essere addirittura rifiutato alla Mostra del cinema di Venezia. La storia si svolge a Bobbio, in una vecchia casa isolata tra le colline, la stessa casa in cui Bellocchio passava le estati con la famiglia. E infatti, protagonista è, anche qui, una famiglia: quattro fratelli che vivono insieme alla loro madre cieca, come fuori dal mondo, immersi nel buio delle loro solitudini e dei loro fantasmi interiori. Una condizione esistenziale resa anzitutto dal paesaggio: una provincia fredda e nebbiosa, soffocata da colline disseccate e scure.
La famiglia che ci mostra Bellocchio non solo non è un rassicurante focolare ma è del tutto priva anche di quella vitalità e poesia che animano invece la famiglia felliniana. La famiglia di Bellocchio è una palude di rabbia e follia. Il fratello maggiore, Augusto, manda avanti stentatamente gli affari di famiglia ed è l’unico a condurre una vita normale, benché triste e ipocrita. Leone è handicappato. Ale soffre di epilessia ed è legato in modo morboso alla sorella Giulia che, a sua volta, ha una predilezione per Augusto. La madre è cieca e bisognosa di continua assistenza. Una miscela esplosiva. Una perturbante condizione di castrazione in cui tutti cercano disperatamente una via d’uscita.

I pugni in tasca, 1965

I pugni in tasca, 1965

I pugni intasca, 1965
Sulla statale 45 che attraversa la Val Trebbia, nel cuore della sua terra natìa, Bellocchio mostra ciò che nessuno aveva osato mai;
con uno sguardo allo stesso tempo allucinato e lucido, cala la famiglia in una dimensione patologia e tragica scandalosa e quindi rivoluzionaria.
Un attacco radicale e violento ai valori borghesi, un inammissibile attacco al potere che piacque molto a Pasolini, il quale vi scorse subito un passaggio generazionale, quello che sarebbe esploso di lì a poco col ’68.

Lou Castel e Paola Pitagora, I pugni in tasca.

Lou Castel, I pugni in tasca.

Lou Castel e Paola Pitagora

Lou Castel, I pugni in tasca, 1965.

Lou Castel, I pugni in tasca.
- Lou Castel e Paola Pitagora
- Lou Castel, I pugni in tasca.1965
- I pugni in tasca, 1965
- I pugni in tasca, locandina.
- Lou Castel, I pugni in tasca.
- Lou Castel, I pugni in tasca
Note biografiche sull’autrice
Nata a Forlì nel 1970, dopo il diploma al liceo Classico si è laureata in Giurisprudenza presso l’Università di Bologna. Ha svolto un Master in Comunicazione a Roma e Milano, poi un corso di Racconto e Romanzo e uno di Sceneggiatura cinematografica alla Scuola Holden di Torino. E’ docente di cinema e letteratura e ha diverse collaborazioni in atto, fra cui quella con Università Aperta di Imola, l’Associazione culturale La Foglia di Forlì e le Scuole Medie, per le quali sta portando avanti un progetto didattico che coinvolge i ragazzi delle classi terze in una ‘lezione cinematografica’ sul rapporto umano e formativo che unisce allievo e insegnante. Nel maggio 2018 è uscito il suo primo libro, edito da Carta Canta, dal titolo I narratori della modernità, un saggio di letteratura francese dedicato a Balzac, Flaubert, Zola e MAupassant, come quei grandi padri della letteratura che per primi hanno colto la nascita del mondo moderno. Collabora con il Festival Internazionale del Cortometraggio, Sedicicorto.
Per ArteVitae scrive nella sezione Cinema e TV.
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